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    Baccalà, stoccafisso e merluzzo: storia, qualità e ricette a cura di Marino Marini

    Baccalà

     

    Chi non conosce il baccalà? È stato per secoli il pesce dei poveri, quello imposto dalla Chiesa per osservare il digiuno. Ma com’è possibile che un pesce dei mari del Nord sia giunto sulle nostre tavole?

    Stoccafisso e Baccalà a confronto

    La storia ci racconta di grandi navigatori Portoghesi, Spagnoli, Veneziani e Genovesi, ma prima ancora di Vichinghi, Inglesi e nordici in generale. I mari del nord sono ricchi di pesci, ma un pesce in particolare ha attratto l’attenzione dei pescatori: il merluzzo (gadus morhua). A favorirne la pesca è la Corrente del Golfo che nella Norvegia del nord, tra gennaio e febbraio, rende la temperatura più mite e i merluzzi vi si dirigono in massa per deporre le uova. Facile quindi per i pescatori norvegesi la loro cattura con reti o lenze.
    Appena pescati i pesci vengono eviscerati e lavati, quindi portati a terra dove prosegue l’operazione di pulitura, selezionati in base al peso e infine quelli destinati a stoccafisso vengono legati, due alla volta, e appesi alle rastrelliere. Qui rimangono circa tre mesi esposti all’aria nordica dove perdono il 70% della loro umidità a questo punto un selezionatore li separa secondo la qualità e legati e infilati in tele di iuta vengono spediti in tutto il mondo. Le nazioni che ne consumano di più sono il Portogallo e l’Italia, la più attenta anche alla qualità del pescato.  Dall’altra parte quelli destinati a baccalà vengono aperti a farfalla, salati continuamente per tre settimane e poi lasciati asciugare-
    Lo stoccafisso è disponibile solo tre mesi l’anno, il baccalà, invece, tutto l’anno.

    Importazione in Italia

    In Italia giunge nel XVI secolo anche se è conosciuto già molti decenni prima. Pietro Querini, nobile veneziano al comando di una nave da trasporto merci parte da Creta nel 1431 e imbarca molti prodotti da vendere o scambiare durante il viaggio.
    Una tempesta coglie Querini e il suo equipaggio in Atlantico e i superstiti approdano a nord della Norvegia presso le isole Lofoten. Il Querini e i suoi uomini restano in questi luoghi più di cento giorni prima di tornare a Venezia. In questo modo apprendono l’uso di trattare il merluzzo da parte dei pescatori locali. Il resoconto del viaggio viene depositato da Querini presso le autorità della Serenissima ma dovrà passare più di un secolo prima che si inizi l’importazione.

    Il via sarà dato dalla chiusura del Concilio di Trento (4 dicembre 1563) che stabilendo il calendario delle giornate di astinenza e di magro: i venerdì, le Vigilie, la Quaresima, il tutto per circa 150 giorni l’anno provoca una spasmodica ricerca di qualcosa di sostanzioso che potesse sostituire la carne. L’arcivescovo di Uppsala, Olaf Mansoon, pubblica un libretto intitolato “Historia delle genti e della natura delle cose settentrionali” che aveva lo scopo, fra l’altro, di far sapere che proprio dai Paesi del Nord Europa poteva venire ai cristiani un aiuto per osservare con più diligenza i nuovi precetti, inizia così l’importazione del merluzzo essiccato.

    La nomenclatura

    Il prodotto in Italia è accolto con entusiasmo per il basso costo e per l’alto grado di nutrizione, non disprezzabile poi la possibilità di trasportarlo con facilità nella cambusa delle navi. Le regioni che più ne saranno gastronomicamente coinvolte, oltre al Veneto, sono la Liguria, la Toscana, il Lazio, la Campania, la Calabria e la Sicilia. Nasce un problema diciamo così di nomenclatura poiché il nome del merluzzo lavorato porta con sé nomi settentrionali non facilmente traducibili per noi latini nascono così Merluzz, Bacalà, Stochefiscie o Stocche, Stocco, Stoccu, Pescestocco, Piscistoccu, Baccalà, Bertagnin, Bertagnì e così via. A Venezia si preferisce chiamare lo stoccafisso “baccalà”, anzi bacalà con una sola C. Lo spiega bene lo storico, agronomo e senatore Luigi Messedaglia (1874-1956) che ha scritto:

    “Oggi è provato che baccalà anziché derivare dal basso tedesco, come è stato sostenuto, è né più né meno l’italianizzazione della parola spagnola bacalao; e baccalà è una delle tante parole che ci è venuta dalla Spagna al tempo del suo predominio in Italia. La voce baccalà e la merce correlativa non diventeranno d’uso comune in Italia che nel pieno Seicento. La denominazione di stoccafisso, venutaci dal tedesco Stocfish, è di introduzione in Italia relativamente recente.”

    Che la lingua spagnola abbia influenzato la parlata veneziana riguardo questo pesce ce lo conferma il nome dato alla più raffinata preparazione gastronomica che i veneziani abbiano saputo ottenere dallo stoccafisso, vale a dire il baccalà mantecato, dove anche l’aggettivo è tratto dallo spagnolo, e una corretta traduzione italiana dovrebbe dunque essere crema di stoccafisso.

    Resta fuori il fatto che nella Repubblica Veneta e nei territori a lei collegati da Venezia fino a Brescia, Bergamo e Crema il merluzzo salato si chiami bertagnin o bertagnì. L’ipotesi più accreditata pare sia quella che lo fa derivare da un noto importatore di Livorno che di cognome faceva Bertagnin. Ancora oggi a Genova è molto apprezzata la qualità, detta bertagnino, riferita al suddetto importatore. Nella terza edizione del “Cuoco senza pretese” del 1834 leggiamo a pag. 231: Battuto, e stato un giorno nell’acqua il merluzzo di buona qualità detto Bertagnino, che per essere tale si deve osservare che sia diafano, sottile e non giallo, perché allora si dirà vecchio e cattivo…

    Le qualità

    Le qualità migliori del merluzzo sono il cosiddetto “ragno”, marchiato a fuoco sul lato,  e il merluzzo skrei chiamato dai norvegesi “Valentine fish” un merluzzo selvaggio di alta qualità. Per il baccalà il migliore proviene dal Quebèc, il cosiddetto Gaspè San Giovanni, salato e asciugato al sole.
    Portate la dovuta attenzione al consumo di questo pesce poiché oggi il merluzzo atlantico rientra fra le specie vulnerabili della Lista rossa IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura). Il consiglio, quindi, è utilizzare il merluzzo con il marchio MSC per tutelare la sostenibilità di questi pesci.

    Le caratteristiche nutritive sono interessanti, 100 g di stoccafisso ammollato contengono grammi: 78,40 di acqua; 20,70 di proteine, 0,90 di grassi, 20 mg di calcio, 200 di fosforo, vitamine del gruppo B e solamente 91 Kcal.

    Prima di procedere al consumo di baccalà o stoccafisso occorre conoscere i metodi che lo rendono commestibile.
    Se secco, quindi stoccafisso, occorre batterlo per bene con un bastone o un batticarne e poi metterlo in un catino capiente e lasciarlo sotto l’acqua corrente per tre giorni. Se il vostro animo è particolarmente ecologico lo metterete in acqua fredda, sempre per tre giorni, in frigorifero e ogni sei ore la cambierete.
    Se volete usare il baccalà salato dovrete tenerlo in acqua almeno due giorni, o a filo o cambiandola ogni sei ore, prima di usarlo assaggiatelo che non sia ancora salato. Il commerciante vi può vendere il prodotto già pronto da cuocere, controllatene la qualità: che non ci siano macchie, aloni giallastri e pezzi mollicci.

    Le ricette

    In Italia, come in Portogallo, le ricette elaborate da ogni località sono davvero numerose: dal baccalà mantecato dei Veneziani, al bacalà alla vicentina, al brandacujun dei Liguri, allo stoccafisso alla genovese o all’anconetana, al baccalà alla livornese, alla cappuccina, alla certosina, alla lucana, per arrivare allo stoccu a ghiutta o alla mammolese dei calabresi. Senza dubbio i più scarsi sono i piemontesi e i milanesi, mentre i più fantasiosi sono i calabresi.
    Noi bresciani lo consumiamo principalmente in tre modi: baccalà in umido con pomodoro e patate o polenta, in insalata con aglio e prezzemolo, sale e pepe e il famoso bertagnì fritto in pastella ottenuto dal baccalà salato (lo stoccafisso sarebbe troppo duro a meno che lo facciate cuocere prima) e immerso in una pastella di acqua e farina con alcune varianti: qualcuno aggiunge un uovo, qualcun altro un pizzico di lievito per pane, i cuochi moderni usano acqua frizzante o birra.

    Del merluzzo si possono consumare anche alcune frattaglie: il fegato dal quale si estrae il famoso olio, le uova, lo stomaco, la lingua.

    Marino Marini


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