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    I laghi bresciani tra prodotti tipici e gastronomia: il Lago d’Idro

    Lago d'Idro - Brescia

     

    Pensando ai laghi bresciani, solitamente, prendiamo in considerazione solo i tre più importanti: il Garda, quello d’Iseo e il Lago d’Idro.

    In realtà, nel nostro territorio, ne troviamo disseminati parecchi altri, specialmente in montagna, come il Lago Moro tra Darfo e Boario Terme, i laghi d’Avio sull’Adamello, il lago Valbione sopra Ponte di Legno, il lago d’Arno in Val Saviore, il lago della Vacca nella Valle del Caffaro, il lago Valvestino sopra Gargnano. Ne possiamo contare ben 173, la maggior parte a beneficio delle centrali elettriche. Se a questi laghi sommiamo i fiumi che li alimentano e quelli che autonomamente scendono dalle montagne e corrono verso il mare come il fiume Mella, capite cosa si intenda per civiltà dell’acqua: una civiltà che parte da lontano per soddisfare il bisogno di approvvigionamento, coltivazione e forza motrice.

    Detto questo, comincia il nostro viaggio tra i prodotti tipici e la gastronomia che potete trovare visitando i nostri laghi maggiori e i territori limitrofi.

    Iniziamo il nostro percorso dal lago d’Idro. L’Eridio dei Romani, posto a circa 400 m sul livello del mare, è formato in entrata e in uscita dal fiume Chiese che scende dall’Adamello e, nella Bassa Bresciana, confluisce nell’Oglio. Attorniato da alte montagne è dominato dalla Rocca d’Anfo, un presidio militare costruito dai veneziani, a guardia del confine con l’Austria che, fino al 1918,   i trovava sul ponte del Caffaro.

    Il lago è pescoso e ricco di pesci come il luccio, il persico, il salmerino del Chiese trentino, le anguille e le alborelle, non mancano neppure i volatili acquatici come gli svassi e le folaghe. Le condizioni attuali del lago, tuttavia, destano più di una preoccupazione a causa della gravità dei fenomeni di eutrofizzazione dovuti all’assenza di un collettore fognario e per l’intenso sfruttamento delle sue acque da parte della centrale idroelettrica di Carpeneda e per uso irriguo.

    Nelle vicinanze si trovato località e tradizioni culinarie di tutto rispetto, oltre ai pesci di lago, merita di essere menzionata la farina di Storo, che viene trasformata in una polenta straordinaria: la polenta carbonera con formaggio Spressa e salamine locali.

    Ecco qui la ricetta della Polenta Carbonera.

    Ingredienti

    1 kg di farina gialla di Storo
    2 litri di acqua
    200 g di burro
    100 g di formaggio grana
    250 g di Spressa stagionata tagliata a piccoli pezzi
    250g di Spressa tenera tagliata a piccoli pezzi
    1/2 kg di salsicce
    1 bicchier1 di vino rosso
    cipolla
    sale grosso
    pepe nero

    Preparazione

    Riscaldare in un paiolo 2 litri di acqua e fatela bollire, poi aggiungere del sale grosso (quanto basta). A questo punto versate a pioggia la farina, mescolare velocemente per evitare la formazione di grumi nell’impasto, mediante un frustino.
    Lasciare riposare per 2/3 minuti il composto e poi portare ad ebollizione girando in senso orario con la “trisa” (il mestolo di legno) per 30/40 minuti circa.

    A parte soffriggete con un po’ di burro la cipolla tagliata a julienne o sfogliata, e aggiungete le salamelle sgranate infine bagnate con il vino rosso e fate sfumate. A ¾ di cottura (della polenta) aggiungete il soffritto alla polenta, mescolate per qualche minuto e per ultimo aggiungete i formaggi già preparati in anticipo a tocchetti. Mescolate ancora un po’ finché il formaggio non si scioglie e comincia a filare e infine versate sul tagliere o servite con il mestolo.

    Non lontano da qui c’è Bagolino con il suo famoso formaggio Bagoss e il suo burro. Altri formaggi li troviamo salendo fino a Capovalle, Magasa e Valvestino dove il Tombea segna un passaggio gastronomico di eccellenza.

    Nella salita si attraversa Treviso Bresciano, il paese dello spiedo nel quale, in tutte le case, la data dell’11 novembre – San Martino – si celebra con uno spiedo casalingo. Sulle montagne qui attortno nasce nasce anche il radicchio dell’orso da raccogliere e conservare sottaceto.

    Chiamato anche radìc di mont, o radìc dal glaz, il nome scientficho è Cicerbita alpina, una pianta selvatica simile al tarassaco i cui germogli si possono raccogliere sui pascoli di montagna, soprattutto sulle Alpi tra i 1000 e i 2200 m s.l.m. quando si sciolgono le nevi.
    Nell’area dell’Adamello si chiama radicchio dell’orso, perché essendo il primo germoglio a crescere in tarda primavera, si diceva fosse il primo ad essere mangiato dall’orso al suo risveglio dal letargo. Il sapore ricorda, soprattutto se consumato crudo, quello dei radicchi in particolare quelli selvatici. Oggi è comune la conservazione sottolio, dopo una scottatura in acqua e aceto, alla quale segue l’immersione dei radicchi in olio di oliva o di semi, con l’aggiunta di aglio e altre spezie e erbe aromatiche.

    Le aree limitrofe al lago d’Idro sono anche ricche di frutti di sottobosco e miele di montagna.

    Prossima tappa del nostro viaggio il Lago di Garda.

    Marino Marini


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