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    Il piatto di Santa Lucia a cura di Marino Marini

    Santa Lucia

     

    La notte fra il 12 e il 13 dicembre arriva l’asinello di santa Lucia, una tradizione lombardo veneta ma che “emigra” fino al Trentino e al ducato di Parma e Piacenza.

    È una santa siracusana molto venerata in mezza Europa, specie nei paesi scandinavi dove all’inizio dell’inverno la luce del sole viene a mancare e allora si prega santa Lucia che, almeno a primavera la riporti. A lei sono attestati numerosi miracoli legati a carestie e malattie perniciose.

    A Siracusa durante una di queste non rare carestie, i fedeli raccolti in chiesa il 13 dicembre videro una quaglia annunciare l’arrivo di un bastimento carico di frumento. Il grano miracolosamente giunto in porto non fu macinato ma consumato bollito: e lo chiamarono cuccìa in onore della santa.

    Ancora oggi la cuccìa è un dolce tipico siciliano, a base di grano bollito e ricotta di pecora o crema di latte bianca o al cioccolato. Viene guarnito con zuccata, cannella, pezzetti di cioccolato e scorza di arancia grattugiata, ed è tradizionalmente preparato e consumato in occasione della festa di Santa Lucia. È una tradizione in particolare del palermitano e del siracusano, diffusa nel resto della Sicilia, anche in versione salata.

    Una leggenda di Verona vuole invece che intorno al XIII secolo, in città, in particolare tra i bimbi, fosse scoppiata una terribile ed incurabile epidemia di “male agli occhi”. La popolazione decise allora di chiedere la grazia a santa Lucia, con un pellegrinaggio a piedi scalzi e senza mantello, fino alla chiesa di Sant’Agnese, dedicata anche alla martire siracusana, posta dove oggi c’è la sede del Comune, Palazzo Barbieri. Il freddo spaventava i bambini che non avevano nessuna intenzione di partecipare al pellegrinaggio. Allora i genitori promisero loro che, se avessero ubbidito, la santa avrebbe fatto trovare, al loro ritorno, tanti doni. I bambini accettarono ed iniziarono il pellegrinaggio. Poco tempo dopo l’epidemia si esaurì.

    Nella città di Brescia ed in tutta la sua provincia Santa Lucia è molto amata, soprattutto dai bambini, che da lei ricevono i regali desiderati. Qui la santa svolge sostanzialmente le veci di Babbo Natale. Come la leggenda popolare racconta, durante la notte tra il 12 ed il 13 dicembre, Santa Lucia passa per tutte le case con un carretto trainato da un asinello, facendo risuonare un campanello d’argento, e distribuisce ai bambini buoni dei doni e dolciumi. Per ricevere i doni i bambini devono scriverle una letterina la settimana prima del suo avvento e la sera prima preparare del latte per la santa e della paglia per l’asinello da disporre sotto la cappa del camino, dal quale la santa scenderà. Poi devono andare subito a letto, chiudere gli occhi ed addormentarsi immediatamente, perché la santa non vuole assolutamente farsi vedere.
    Se i bambini cercheranno di scorgerla, la santa gli butterà della cenere negli occhi secondo alcuni. Qualora i bimbi non siano stati abbastanza buoni e obbedienti durante l’anno, al posto dei doni richiesti, riceveranno solo del carbone.

    I cremonesi sostengono che fu anche per merito loro, sentite questa storia:
    Si narra che il territorio bresciano sia stato colpito da una gravissima carestia. Gli abitanti di Cremona organizzarono una carovana di asinelli carichi che raggiunse Brescia presa nella morsa della fame. Poiché la distribuzione avvenne di nascosto, la notte tra il 12 e il 13 dicembre, si pensò che fosse stata una grazia della martire. L’antica ospitalità, poi, voleva che si accogliessero nelle case i pellegrini che cercavano riparo dal freddo e questi ultimi, a loro volta, prima di ripartire, dovevano lasciare un dono sulla porta della casa che li aveva accolti. Con il trascorrere del tempo si consolidò così l’usanza di fare regali in occasione del 13 dicembre e nacque la tradizione di Santa Lucia che accomuna bresciani e cremonesi. È però attestato che a Brescia è festeggiata dal 1438, quando si portarono doni sul sagrato di San Pietro de Dom per celebrare la resistenza all’assedio del Piccinino.

    Santa Lucia “la giornata più corta che ci sia”, un tempo, lontano qualche secolo, questa giornata corrispondeva al solstizio d’inverno, poi spostato tra il 21 e il 22 dicembre, quello che lascia perplessi è che pare si confermi il detto popolare e secondo gli scienziati: vicino al 13 dicembre si ha effettivamente una riduzione “apparente” delle giornate, perché il Sole tramonta prima. Al solstizio il sole tramonta generalmente circa 3 minuti dopo rispetto a Santa Lucia, ma è l’alba che ritarda il suo arrivo. I bambini, infatti, in attesa dei regali, affermano che la notte di Santa Lucia: “è la notte più lunga che ci sia”. E prima di dormire devono cantare una canzoncina propiziatoria:

    Santa Lucia bella dei bimbi sei la stella,
    pel mondo vai e vai e non ti stanchi mai;
    trova la porticina di questa mia casina,
    poi continua la strada per tutta la contrada,
    e poi continua il viaggio per tutto il mio villaggio.
    A tutti i bimbi buoni Tu porta dolci e doni,
    ma i regali più belli portali ai poverelli”.

    Serve ricordare che un tempo non c’era tutto quel bendidio che c’è oggi?
    «Santa Lussia la passerà
    co’ la borsa del papà
    se ’l papà el ghe na mia
    Santa Lussia la passa mia».

    Cos’è questo tripudio, questa abbondanza che trasforma, o riduce, ogni festa, anche la più sentita, in una mercificazione, in un merchandising, ricorda Elio Palvarini nella poesia “Santa Lüsia dè ’na olta”:

    Tre portogài, èn pìgn dè caramèle,
    chèle dè söchèr co’ la carta dora,
    na pöa dè pèsa, però dè chèle bèle,
    col vistìt a fiur e la facina mora,
    na machinina dè lata culurada
    co’ la ciaitina che ocór per fala ’ndà”.

    Il piatto conteneva in effetti: i portogalli, che oggi chiamiamo arance ma non siamo i soli a chiamarli in questo modo in apparenza insolito: in greco fa πορτοκάλι che sarebbe: portocali; in albanese portkall, in rumeno portocală, in napoletano purtuallo. La spiegazione sta nel fatto che l’arancia dolce che in arabo si dice burtugàl deriva da quella amara che in persiano fa nàrang e in spagnolo naranja. Questo frutto dolce, coltivato dagli arabi e portato in Sicilia era commercializzato in Occidente dai portoghesi.
    Le caramelle di zucchero, quelle con la carta frastagliata, ma anche quelle di orzo che la nonna preparava da sé versando dello zucchero caramellato biondo sopra la lastra di marmo oliata, le raccoglieva e le tagliava in pezzetti che incartava come le caramelle. Dei fichi secchi, dei datteri dolci e, più recentemente, dei soldoni di cioccolato come buon auspicio.
    Ma i bambini più grandicelli hanno inventato una filastrocca che è variamente applicata alla nostra Santa come alla Befana:

    Santa Lucia la vien di notte,
    con le scarpe tutte rotte,
    col cappello alla romana,
    Santa Lucia… l’è la tò mama!”

    Buona Santa Lucia!

    Marino Marini


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