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    Come si scrive una ricetta? Ce lo spiega Marino Marini!

    Libro di cucina

     

    Dopo aver scritto il menu, molti cuochi chiedono come si scrive una ricetta. Questi tempi di invasione cucinaria infatti hanno dato la patente di “scrittore” a molti cuochi che fino a ieri non avevano scritto mai, e qualcuno perfino letto poco. All’improvviso ci siamo trovati invasi da libri scritti da chef televisivamente onnipresenti e, leggendo questi libri, alcuni piacevoli, altri meno, ci ritroviamo a scorrere numerosissime ricette.

    Vi chiederete: ma quando cucinano, se stanno sempre a scrivere?  Non abbiate paura vi sono degli ottimi ghostwriter che scrivono per loro.

    Il sostantivo ricetta deriva dal latino recepta e dal verbo recipere: prendere, da qui l’imperativo recipe, prendi, così iniziavano le prescrizioni mediche antiche. Con il tempo il termine è passato alla cucina. Per la precisione, l’esercizio dello scrivere ricette è un vezzo antico, il modo di scrivere è maturato nei secoli e ha seguito alcune regole segnate dal tempo. I primi testi risalgono ai Greci e ai Romani, Apicio e Archestrato da Gela (riportatoci da Ateneo) sono i primi a raccontarci la loro cucina, ma ci vorranno secoli per trovare un linguaggio comprensibile e altri secoli prima di trovare una formula indicativa di dosi e procedimenti. I primi testi in lingua sono scritti principalmente da cuochi che si rivolgono ad altri cuochi e quindi le indicazioni sono stringate e danno per scontata la conoscenza delle dosi e di alcune procedure. Vediamo alcuni esempi.

    Libro di cucina del secolo XIV di Anonimo

    Cisame de pesse quale tu voy

    Toy lo pesse e frigello, toy zevolle e lessale un pocho e taiale menude, po’ frizelle ben, poy toli aceto et aqua e mandole monde intriegi, et uva passa, e specie forte, e un pocho de miele, e fa bolire ogni cossa insema e meti sopra lo pesse.

    Opera dell’arte del cucinare di Bartolomeo Scappi, 1570

    Per fare un’altra sorte de di pasta piena di polpa di pollo

    Battansi con li coltelli dui petti di capponi, che prima siano stati allessati, o arrostiti allo spedo, giungansi con essi quattro oncie d’amandole ambrosine monde piste nel mortaro, oncie due di mostaccioli Napoletani, & quattro oncie di cascio grasso, & otto rossi d’ova crudi, un’oncia di cannella, & un poco di zafferano, & d’essa compositione facciansene ciambellette overo facciansene fiadoncelli, & frigghisino nello strutto.

    Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria di Giovanni Vialardi, 1854

    Sogliola alla veneziana

    Avrete 4 belle sogliole, levate la pelle d’ambe le parti, sventratele, lavatele, ponetele in tegame con 1 cipolla trita, un po’ di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco, sale, pepe, un po’ d’acqua, cotte bollendo 12 minuti. Fate cuocere un po’ di butirro con un po’ di farina, versate la cottura tramenando, finchè formi una salsa, più mezzo bicchiere di fior di latte, fate cuocere a salsa ristretta, disposti i pesci sul piatto, versate sopra la salsa e servitele calde.

    La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, 1891

    Sformato di piselli freschi

    Piselli sgranati, grammi 600.
    Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
    Burro, grammi 30.
    Farina, grammi 20.
    Uova, n. 3.
    Parmigiano, una cucchiaiata.

    Fate un battutino col prosciutto suddetto, una piccola cipolla novellina e un pizzico di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore versate i piselli condendoli con sale e pepe. Cotti che siano passatene una quarta parte e il passato unitelo a un intriso composto col burro e la farina indicati e diluito sul fuoco con sugo di carne o brodo. Poi mescolate ogni cosa insieme, il parmigiano compreso, e cuocete il composto a bagnomaria in uno stampo liscio col foglio imburrato sotto.

    Come vedete il modo di scrivere si è affinato sempre più, si sono usati aggettivi appropriati e il linguaggio semplificato ma pur sempre godibile. Una famosa rivista italiana di cucina, nata nel 1929, ha sin dal primo numero dato molta importanza allo scrivere la ricetta, tant’è che fino agli anni ’60 scriveva “ciliege” e solo dopo quest’epoca decise che sarebbe stato meglio scrivere “ciliegie” e da lì non è più tornata indietro.

    Oggi abbiamo normative che ci impongono di usare sigle stabilite a livello europeo, ma nelle ricette spesso queste regole sono ignorate quindi possiamo leggere “grammi” in molti modi: g; gr; gr., e 200 grammi, 200g; 200 g; 200 gr; 200 gr.; la regola dunque qual è?

    Basta leggere il DidiSi, il Dizionario di sigle, abbreviazioni e simboli, per sapere che grammi si scrive solamente g senza né r, né punto. Altrimenti dovremmo, per coerenza, scrivere chilogrammi kgr o kg.; per quanto riguarda la grammatura 200 grammi si deve scrivere 200 g poiché lo spazio tra il numero e la sigla è obbligatorio. La cosa più infelice che si legge in questi ultimi anni è olio EVO o evo, al posto di olio extravergine di oliva. Non è questione di risparmio di tempo, è questione di non massacrare una delle più belle lingue al mondo.

    La ricetta è composta da due parti: gli ingredienti e la procedura. Nelle riviste vi si aggiunge, qualche volta, i materiali occorrenti e le chilocalorie. Secondo me sono indicazioni abbastanza inutili: la prima –  i materiali – si possono ricavare leggendo la procedura; la seconda – le chilocalorie – è una informazione relativa e fuorviante, perché estratta dal contesto di un pasto e di tutta una giornata di lavoro e, a meno che siate a stretta dieta, non serve sapere che 100 g di lievito comportano circa 105 kcal o Cal se è fresco e di birra, se è secco invece ne ha 325.

    Quindi, tornando alla ricetta, nella prima parte si elencano gli ingredienti e qui vi sono più scuole di pensiero: c’è chi li elenca in ordine decrescente dal più importante (1 kg di fesa di manzo) al meno significativo (sale e pepe q.b.); chi invece li elenca in ordine di apparizione (tagliate un cipolla sottile); chi in ordine sparso secondo l’estro. Voi sceglierete quello che più vi piace con una raccomandazione: siate coerenti e date sempre le informazioni precise del relativo peso evitando i pizzichi, i cucchiai e cucchiaini (da tè, da caffè, da minestra rasi e colmi) e tazze o bicchieri, l’imprecisione, e le cups, lasciatele agli americani.

    Nella seconda parte è d’obbligo invece seguire la procedura, l’esecuzione, anche qui alcuni suggerimenti: se scrivete la ricetta della pasta e fagioli e suggerite i fagioli secchi, iniziate con l’indicare la messa a bagno dei fagioli stessi. Allo stesso modo l’eventuale marinatura della carne con verdure e vini o altro. Lo stesso vale per la preparazione di brodi o fumetti che deve premettersi alla esecuzione vera e propria della ricetta.

    In ossequio alla riduzione degli sprechi segnalate sempre un diverso utilizzo degli scarti. Scrivete in modo chiaro e semplice, evitando francesismi, anglismi e latinismi se è possibile, naturalmente. I tempi che indicate siano precisi, nei secoli passati Scappi indicava il tempo che serviva per un’avemaria o un paternoster, ma lui lavorava presso il pontefice, oggi siate più laici. Anche per le temperature siate precisi perché il forno caldo o tiepido non dice niente ma 180 °C è una temperatura controllabile e precisa (e quella C usatela che sta per Celsius che la differenzia da °F che sta per Fahrenheit). Ricordiamo le parole di Marco Guarnaschelli Gotti:

    “Oggi si fa strada un modo più razionale di scrivere la ricetta, in cui le quantità sono indicate secondo i limiti del buon senso, senza dimenticare che gli elementi non sono sempre uguali a sé stessi e che la dose deve essere una indicazione di massima, non una costrizione. Le ricette vanno quindi lette con attenzione e assunte come punto di partenza, ma, quando si è padroni delle basi, ci si deve sentire autorizzati se c’è l’estro, anche a modificare e a inventare, che poi è il fascino della cucina”.

    Ecco, volevo a mo’ di esempio, passarvi una ricetta pubblicata su una famosa rivista ma mi sono accorto che la lingua italiana è diventata una specie sconosciuta anche lì:

    Potete poi deciderli di cuocerli in padella, bagnando con del vino bianco, oppure dentro un bel sugo con il quale poi potrete condire la vostra pasta. Ancora più facili i calamari ripieni potete cucinarli al forno, circondati da qualche pomodorino, basilico e aglio: basteranno 20 minuti a 180 °.

    Tocca a voi trovare gli errori e buona scrittura a tutti!

    Per chi volesse divertirs,i consiglio di leggere “Come preparare un uovo sodo” di E. Jonesco o “Risotto patrio. Rècipe” di C. E. Gadda e, infine, “Il risotto romagnolesco” di G. Pascoli.

    Marino Marini


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