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    Geogastronomia: una nuova lettura della tradizione gastronomica

    Prodotti tipici bresciani

     

    Quando scrissi della cucina bresciana e della poca conoscenza che i bresciani stessi avevano delle loro tradizioni gastronomiche, feci un’osservazione ovvia sulla vastità del territorio bresciano e come le tradizioni fossero diverse da zona a zona.
    Infatti, nulla aveva a che fare, gastronomicamente parlando, un gardesano con un triumplino o un abitante della bassa. Se guardiamo i territori con questa nuova ottica, ci accorgiamo di quanto l’assunto sia corrispondente alla verità. Personalmente li chiamo Distretti Gastronomici Italiani (Di.G.It) e noto, tra i giornalisti più attenti come Davide Paolini e Martino Ragusa, un’identità di vedute che mi fa piacere. In particolare il secondo nel Manifesto della Cucina Nazionale Italianaafferma:

    Oltre alle venti regioni ufficiali, poi, ci sono le tante microregioni italiane fiere della loro identità gastronomica ma difficilmente collocabili all’interno di una singola regione. La Lunigiana, per esempio, è allo stesso tempo Liguria, Emilia e Toscana, come dire che è tutte e tre e nessuna delle tre. Lo stesso vale per il Montefeltro, la Garfagnana, il Sannio e tanti altri territori a cavallo di due o più regioni dalle quali sono tratte tradizioni gastronomiche da fare convivere o ibridare. Infine, ci sono territori interni a un’unica regione che vantano una gastronomia talmente peculiare da non potersi indentificare tout court con quella della regione di appartenenza, come la Valtellina in Lombardia, il Salento in Puglia, la Carnia in Friuli, le Langhe in Piemonte”.

    Proviamo ad analizzare con questa idea le varie regioni italiane:

    La Valle d’Aosta: cucina di montagna con una sottolineatura importante sulla Via Lattea Valdostana dove le eccellenze casearie hanno il sopravvento in cucina.

    Il Piemonte: nell’Astigiano prevale il Monferrato e la sua cucina; in provincia di Biella molto interessante il Ricetto di Candelo una struttura millenaria con al suo interno 200 abitazioni e una tradizione gastronomica medievale; a Cuneo le Langhe con la loro grande tradizione gastronomica; nel Novarese spicca la tradizione casearia legata allo stracchino verde detto Gorgonzola; Il Verbano raggruppa anche la Val d’Ossola con la sua cucina montanara, mentre il lago Maggiore esprime una cucina dei pescatori; nel Vercellese prevale la cucina delle risaie; il capoluogo Torino, capitale del regno sabaudo, ha in sé molte anime: la cucina savoiarda ispirata a quella francese, la cucina dei cuochi dei re da Vialardi a Pettini, la cucina povera delle piole, vicino a Ivrea la cucina canavesana, i caffè di Torino con il suo bicerin e il vermouth ed infine l’arte cioccolatiera che qui ha raggiunto alti livelli.

    La Liguria: Genova e i suoi Carruggi con le focacce e la trippa; a Imperia il pastificio di Vincenzo Agnesi determina i vari tipi di paste secche italiane: tipo Genova, tipo Bologna, tipo Napoli ecc. Se La Spezia è la cucina di Levante; Savona è quella di Ponente con le loro significative differenze.

    La Lombardia: Bergamo distingue la cucina della città con quella delle Valli Orobiche con formaggi straordinari; Brescia è la più variegata visto l’estensione della provincia, il lago di Garda e quello d’Iseo con la Franciacorta, le tre valli di cui la Valcamonica detiene una cucina antichissima, la Bassa Bresciana terra di allevamenti animali e di rogge, anche qui una Via Lattea Bresciana che corre sulle cime delle Prealpi dal Tonale alla Valvestino; Como e la cucina del suo lago; Cremona distinta anche in cucina tra il Cremasco e il Casalasco; Lecco divisa tra il lago e la montagna; Lodi con il suo contado; Mantova, cucina di principi e di popolo tra i Gonzaga con Bartolomeo Stefani a innalzarla ai più alti livelli e il Ghetto ebraico che interpreta la cucina locale con le tradizioni religiose, l’Alto Mantovano e la cucina del maiale e delle mostarde, poi la cucina dei fiumi il Mincio e il Po; Monza e la cucina brianzola; Pavia con l’Oltrepo e le rane cantato da Gianni Brera; Sondrio con la Valtellina e i crotti; Varese con il suo lago; il Canton Ticino e i suoi, meno noti, grotti, antiche osterie ante-litteram; infine Milano con le innumerevoli osterie e i caffè con la barbajada e il Campari.

    Il Trentino-Alto Adige: mentre a Bolzano e dintorni si andrà a far törggelen per Masi; a Trento si andrà per Malghe e funghi.

    Il Veneto: Rovigo vi delizia con gli orti del Delta e le Valli di pesca con prodotti straordinari; a Treviso non potete mancare il giro delle osterie; Verona si divide tra la cucina del Garda e quella delle risaie di Isola della Scala; a Vicenza non potete mancare la cucina del baccalà; a Venezia potete girar per bàcari, ombre e cicheti nelle osterie o ricercare la cucina del ghetto ebraico, senza dimenticare il baccalà mantecato.

    Il Friuli-Venezia Giulia: a Gorizia andrete per osmize sul Carso; mentre a Udine andrete per tajut e non perdetevi la cucina carnica espressione di secoli di intrecci di popoli; mentre a Trieste non mancate i buffet triestini e, attraversando il confine provate la cucina dalmata e quella istriana con venature veneziane.

    L’Emilia-Romagna: qualcuno non vorrebbe quel trattino e così partendo dal fondo troviamo Rimini con la sua piadina (non confondetela) e la zona del Montefeltro con una cucina originale; Reggio Emilia con le sue Terre di Canossa; Ravenna e l’altra piadina; Piacenza con Bobbio e i colli piacentini; Parma e la cucina dei Farnese, la Bassa Parmense e i Colli di Parma; Modena e la cucina di Carpi; Forlì-Cesena andar per crescentine e tigelle; Ferrara la cucina del Po e lo storione, il Ghetto ebraico; Bologna la grassa e le osterie bolognesi.

    La Toscana con Grosseto e la Maremma; Livorno i cacciucchi e le triglie, le isole d’Elba e Capraia; Massa Carrara con la Lunigiana, la Garfagnana e la cucina pontremolese; Siena e i suoi dolci; infine Firenze con la cucina dei Medici e i trippai fiorentini dei mercati.

    Le Marche con Macerata e la sua nobile cucina; Ancona e i brodetti dell’Adriatico.

    L’Umbria con Perugia ed Eurochocolate

    Il Lazio con Viterbo e la Tuscia; la capitale sfodera la cucina papalina, la cucina ebraica, le hostarie romane, i Castelli Romani e le ottobrate.

    L’Abruzzo con la Pescara di D’Annunzio e L’Aquila con la cucina dei trabocchi e quella della Maiella degli arrosticini.

    Il Molise con Campobasso, la transumanza e la cucina dei pastori.

    La Campania a Benevento la cucina delle streghe; a Salerno il Cilento e Ancel Keys; infine il capoluogo con la cucina dei Monzù e quella del Bassi, le pizze di strada e di bottega, la cucina isolana di Ischia e Capri.

    La Puglia con Lecce e il Salento; Taranto e i due mari; Bari con la Murgia e i fornelli.

    La Basilicata e la cucina lucana.

    La Calabria Catanzaro le putiche e u morzeddu; Crotone e la cucina della Magna Grecia; Reggio di Calabria con lo stocco calabrese e la pesca sullo Stretto.

    La Sicilia con Messina e il pesce spada; Trapani e il cuscusu di San Vito Lo Capo, e poi le isole siciliane: Eolie, Egadi, Pantelleria e Lampedusa; a Palermo il mangiare di strada ai mercati di Ballarò, del Capo e di Vucciria, la cucina dei Conventi e la pasta martorana.

    La Sardegna in Sud Sardegna i pani di Sardegna; a Oristano i dolci sardi; a Cagliari le tonnare e la cucina tradizionale.

    Martina Liverani nel suo recente “Atlante di geogastonomia” Mondadori Electa, scrive:
    Il cibo può ridisegnare dei confini che sono altrettanto sensibili di quelli amministrativi e anzi a volte sono precedenti perché sono molto più antiche le storie legate alle tradizioni culinarie di quelle legate alla geografia di certi paesi che sono nati di recente in seguito a patti o ad accordi politici”.

    Come avete letto il nostro è un Paese invidiabile e unico e non cercate più la cucina italiana né quella regionale.

    Marino Marini


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