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    Il cuoco ieri e oggi: dal Novecento ad oggi a cura di Marino Marini

    Chef in cucina

     

    Nel ventesimo secolo l’Artusi farà scuola, ma stimolerà anche la nascita di altri ricettari – Olindo Guerrini scriverà “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” – e numerose riviste. “Rivista italiana d’arte culinaria” (1905); ”La Cucina Moderna” (1908); “La Cucina Moderna Illustrata” (1911); “Preziosa” diretta da Ada Boni. Nel 1929 vedremo l’uscita de “La cucina italiana” di Umberto e Delia Notari, con tanto di commissione di assaggio. Vi scriveranno, negli anni, intellettuali e cuochi, come F. T. Marinetti, l’ideatore del Futurismo, e il cuoco di Casa Savoia, Amedeo Pettini. Nel frattempo, sull’onda dei grandi ricettari francesi di Urbain Dubois e Jules Gouffé, tradotti anche in italiano, un gastronomo il dott. Alberto Cougnet nizzardo, pubblica “L’arte cucinaria in Italia”, poderoso manuale in due tomi dove si cerca di scrollarsi di dosso la cucina francese e trovare una via italiana alla gastronomia. I Savoia, lo racconterà proprio il Cougnet, decidono di abbandonare la lingua francese dei loro menu (siamo nel 1908) e si rivolgono all’Accademia della Crusca per trovare le giuste traduzioni, scrive il re Vittorio Emanuele III:

    “L’Italia ha una lingua propria, ricca e melodiosissima; per quale ragione dobbiamo,
    per un malinteso criterio della moda, ricorrere a idiomi stranieri?”

    Così per il termine menu, dopo mesi di discussioni, apparvero le prime proposte: lista, nota, elenco, lista cibaria, gastronota, vivandonota, elenco, distinta. Dopo una lettera di Olindo Guerrini al Giornale d’Italia anche i Savoia si convinceranno ad usare per le liste cibarie semplicemente: pranzo, colazione, cena, convito. Rimarranno alcune curiosità come Poncio allo sciampagna e così via. A proposito del vino francese la regina Elena si rifiuta, per il varo di una nave, di usare lo champagne ma chiede un vino italiano.

    Saranno ancora i territori a segnare il tracciato.
    A Roma un cuoco-poeta Adolfo Giaquinto direttore del “Messaggero della cucina” una rivista per cuochi e massaie, scriverà alcuni libri sulla cucina e molte poesie e canzoni in dialetto romanesco. A Milano Giuseppe Fontana, cuoco del Savini, darà alle stampe la “Cusinna de Milan” ricette in dialetto meneghino. In Sicilia Enrico Alliata Duca di Salaparuta, darà alle stampe il suo “Cucina vegetariana e naturismo crudo”.
    Ada Boni, nipote di Giaquinto, nel 1925 pubblica  “Il talismano della felicità” a cui seguiranno “La cucina romana” e “La cucina regionale italiana”. Nel 1930, a cura di Marinetti e Fillia, appare il “Manifesto della cucina futurista” ,  che farà scalpore e provocherà un grande dibattito il loro grido “contro la pastasciutta”. Anche i marinettiani proporranno un adeguamento dei termini gastronomici stranieri ed ecco che il cocktail diverrà polibibita, il bar quisibeve, il panino tramezzino e il dessert peralzarsi. Tra le due guerre, per necessità, appariranno dei libri su come provvedere alla mensa quotidiana in tempi difficili, di privazioni e sanzioni, nasceranno così molti surrogati per sostituire burro, carne e alimenti costosi e introvabili. Un bresciano inventerà Lanital un filato ottenuto dalle proteine del latte.

    Il dopoguerra segnerà, finalmente il risveglio, la voglia di rifarsi porterà molta gente in trattoria, esploderanno le pizzerie e le trattorie toscane, specie in città come Torino e Milano. Sono gli anni del cosiddetto boom economico, numerosi film realisti raccontano del bisogno di cambiamento dal “maccherone, m’hai provocato e io me te magno” fino alla “Grande abbuffata” di Marco Ferreri dove la noia, l’inedia, l’assenza di progetti di vita, naufragano nell’ingordigia e nel sesso, fino a morirne.

    In TV approda Mario Soldati che nel suo “Viaggio sul Po, alla ricerca dei prodotti genuini” fissa i canoni della tradizione gastronomica e delle nuove industrie che si mostrano sul mercato. Nel 1956 appare la guida Michelin, ancora monca poiché si fermerà fino a Siena, ma dal 1957 coprirà l’intero territorio italiano. Dal 1959 la prima stella ai nostri locali (80) e 10 anni dopo la seconda (11). Scopriamo così alcuni locali straordinari come La Santa di Genova con il cuoco Nino Bergese, Sabatini di Firenze, Fini a Modena, Villa Sassi a Torino, 12 Apostoli a Verona; Arnaldo Clinica Gastronomica a Rubeira (RE) la detiene, quasi ininterrottamente dal ’59 a oggi.

    Nel 1972 due giornalisti francesi Henri Gault e Christian Millau stilano 10 comandamenti che denominano Nouvelle Cuisine, in realtà già lo chef francese Menon nel 1742 aveva dato alle stampe un volume con lo stesso titolo e anche Antonin Carême il secolo successivo chiamava così la sua cucina. Il movimento trova subito dei seguaci, in Francia Fernand Point e Michel Guérard e in seguito Paul Bocuse e molti altri abbracciano questa novità. In realtà già si sentiva da anni il bisogno di alleggerire i piatti, inondati da salse e da panna, marinature e cotture lunghissime. In cucina, negli anni ’60 del secolo scorso, in un angolo c’era sempre un pentolone in lenta ebollizione, lo chef lo chiamava remouillage, un bagno di qualsivoglia materiale di scarto della cucina: ossi, pelli, bucce, perfino corde dell’arrosto, sempre in piccolissima ebollizione era destinato a diventare salse e fondi di cucina.

    In Italia sarà Gualtiero Marchesi ad abbracciare questa novità dopo i suoi stage dai fratelli Troisgros a Roanne, Nel suo ristorante milanese ottiene la prima stella nel 1978, l’anno successivo la seconda e nel 1986 la terza stella lo classificherà primo cuoco in Italia a ottenere questo ambito riconoscimento internazionale.

    Ma la cucina degli anni ’80 e ’90 esprimeva altri grandi cucinieri. La prima fra tutti Mirella Cantarelli in Samboseto (PR) con il marito Peppino facevano una cucina moderna utilizzando i prodotti locali. Sarà proprio Mario Soldati nel 1958 ad aprire la porta di questo spaccio alimentare-tabaccheria-trattoria-posto telefonico pubblico e a farla conoscere al grosso pubblico, chiuderà definitivamente nel novembre del 1982. A pochi km stava un altro straordinario personaggio Franco Colombani, uomo di sala e di cultura stava a Maleo (LO), qui consumò l’ultima sua cena Gioann Brera, il grande giornalista padano. Dall’altra parte dell’Emilia, un gruppetto di cuochi capitanati da Igles Corelli gestivano il Trigabolo di Argenta (FE) in cucina c’erano dei ragazzetti: Marcello Leoni, Bruno Barbieri e altri. A Venezia Giuseppe Cipriani nel suo Harry’s Bar negli anni ’50 inventa il Carpaccio per una sua cliente straniera. A Costigliole d’Asti Guido e sua moglie Lidia deliziano la clientela con gli agnolotti del plin e una rivisitazione del vitello tonnato che dimostra come le novità abitino anche in Langa.

    In Milano Aimo e Nadia Moroni, lui proveniva dalla Toscana e a pranzo era una mensa per operai, la sera si trasformava in un grande ristorante con porcini, ovoli, scampi e tante buone cose che entusiasmavano Luigi Veronelli. Sempre a Milano uno chef di Gualtiero Marchesi di origine svizzera, Pietro Leemann compie il grande salto. È da sempre attento ad una cucina innovativa dove la carne e il pesce devono lasciare il posto a verdure e frutta. Negli anni, dopo lunghi viaggi in Oriente, sterza decisamente verso una cucina vegetariana prima e vegana poi. Il livello è altissimo e la clientela e la critica lo premano. A Pieve d’Alpago, nel bellunese strabiliava Enzo De Pra che aveva lavorato presso i più grandi da Marchesi a Troisgros. Sulle rive dell’Oglio, siamo a Runate di Canneto sull’Oglio, un pescatore offriva il suo “raccolto” ai clienti, alla griglia, in frittura, poi il figlio Antonio e la moglie Nadia iniziano a interessarsi del locale e nel giro di 20 anni lo portano al vertice della ristorazione, oggi i figli stanno prendendone il timone ed è di buon auspicio. A Firenze un sommelier Al Sud, nel paradiso che sta tra Napoli e Amalfi, due giovani Alfonso Iaccarino e la moglie Livia decidono di sfidare la sorte e abbandonando l’albergo che gli Iaccarino conducevano, aprono il loro ristorante: Don Alfonso 1890. Negli anni saranno loro a guidare la truppa di cuochi meridionali che conquisteranno le vette della ristorazione: Caputo, Esposito e tanti altri. Sul lago Trasimeno un cuoco, burbero quanto preparato, lancia le sue innovative proposte, è Gianfranco Vissani che trasforma la sua trattoria in “Casa Vissani” dove il ricordo del padre a cui lui deve molto è ancora oggi presente.

    E a Brescia? Per qualche anno Brescia stenta a decollare ma all’orizzonte spuntano nuove stelle della ristorazione: Gino Gavazzi al Gambero di Calvisano, Franco Martini al Leon d’Oro di Pralboino, Alvaro Cerri alla Casa di Bedizzole, Graziano Cominelli alla Piazzetta di Sant’Eufemia, Pierantonio Ambrosi alla Vecchia Lugana di Sirmione, Emanuele Signorini all’Esplanade di Desenzano, Riccardo Camanini a Villa Fiordaliso di Gardone Riviera, Danilo Filippini alla Tortuga di Gargnano.

    Nel 1981 il capostazione di Iseo, Vittorio Fusari, il ferroviere Mario Archetti detto Archie, l’insegnante Giorgio Sgarbi vogliono diventare osti e aprono, trasformandolo, un vecchio negozio nel centro di Iseo. Inizia così la storia del Volto, un luogo magico dove si gioca a carte, si beve un calice di vino, ma all’ora di pranzo o di cena avviene il miracolo: si cucina! Diverrà con il tempo un locale cult che farà il paio con Le Maschere aperte da Vittorio Fusari e Roberto Gozzini di fronte, in un vicolo chiuso. Nel 1987 “sbarca” a Brescia un giovane bretone, vuole lavorare come cuoco da Vittorio Fusari alle Maschere, dopo qualche altra esperienza approda nella cucina di Mary la mamma di Mauro Piscini che da qualche anno si sono trasferiti a Concesio. Qui impara la cucina del territorio e poi, lentamente prende possesso della cucina, sposa Daniela sorella di Mauro. La sua cucina evolve in senso positivo fino a raggiungere le due stelle Michelin. Ormai un punto fermo nella nostra ristorazione.

    La prossima volta affronteremo un tema contemporaneo dove deve dirigersi la cucina del futuro?

    Marino Marini


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