• ITA
  • ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    La lavorazione del maiale nel bresciano tra ricordi e tradizione

    Insaccati tipici bresciani - Associazione Norcini Bresciani
    Insaccati tipici bresciani – Fonte immagine Associazione Norcini Bresciani

     

    La lavorazione del maiale è sempre stata una tradizione nel Bresciano e il mestiere del norcino vanta origini antiche, non solo nella nostra provincia. È proprio in questo periodo dell’anno che ci si dedica maggiormente a questo un “rito” che un tempo coinvolgeva intere famiglie. Ogni norcino ha i suoi segreti, a seconda della zona. Ma il fine, si sa, è sempre lo stesso: ottenere il miglior salame.

    Tra ricordi e tradizioni, ecco un tempo cosa rappresentava il maiale per i nostri nonni…

    Tanti nomi per lo stesso mestiere

    L’arte norcina deriva dal nome del borgo umbro di Norcia ed è parte della tradizione e dell’economia rurale di molte zone d’Italia. Nel raggio di pochi chilometri, non solo cambiando regione, ma addirittura da un comune all’altro, varia la terminologia: per esempio, a Lonato chi uccide il maiale si dice copadùr, a Desenzano masadùr, a Peschiera del Garda (Veneto) mazin, ancora in Lombardia ma nel vicino Mantovano masalì. E, ancora, a Ospitaletto e Rovato era il massù, a Nave porcheròt, ad Asola masalér, a Roverbella becarìn, a Medole masarì, a Cavriana masin e, sul lago d’Iseo, copasì.

    E c’è salame e salame, non sono mica tutti uguali. Se quello veronese (e cremonese) contiene l’aglio nell’impasto tradizionale e differisce da quello mantovano, che ha al suo interno il pepe e altre spezie, l’insaccato bresciano ha un impasto a base di sola carne di maiale, con l’aggiunta di un po’ di vino rosso o grappa. Un comune denominatore c’è sempre: la passione, unita al rispetto per l’animale, in passato destinato al sostentamento di intere famiglie nei lunghi inverni. La sua carne leggera, ma sempre abbondante, era un’autentica manna per la gente delle campagne, tanto che si usava dire “del maiale non si butta via niente”.

    I ricordi di Marino Damonti

    Guardando il suino allevato, il copadùr pesava con gli occhi i salami che avrebbe appeso alla pertica e poi mangiato o regalato, valutando così il proprio “benessere” nei mesi a venire. I salami, una volta pronti, diventavano l’emblema delle principali festività e cerimonie: conservati con cura, sotto gli occhi vigili della casa, erano poi donati o consumati in occasioni solenni, nei banchetti di fidanzamenti o battesimi o, più in là, durante la vendemmia. Il più delle volte costituivano pure merce di scambio. Per pagare beni o servizi si usavano uno o due salami: in cambio di una visita o di una prestazione, il droghiere, il farmacista, il medico, la levatrice o il parroco del paese ricevevano questi genuini prodotti, frutto del lavoro del norcino e dei suoi aiutanti. Insomma, il maiale era parte della vita di intere famiglie e comunità.

    Il giorno dell’uccisione del maiale, solitamente tra dicembre e gennaio, nel periodo più freddo dell’anno, incominciava alle prime luci dell’alba. Erano occasioni importanti di vita sociale, che donavano alle famiglie ore liete, per dimenticare almeno per qualche ora le tribolazioni quotidiane, la fame e la povertà. Sono queste scene che Marino Damonti, ristoratore lonatese ed esperto collezionatore di grappe, ha raccontato nel suo libro “Il maiale nella tradizione”, attraverso 140 immagini in bianco e nero, scattate da lui stesso e dal fotografo Antonello Perin.

    Dopo aver vissuto quei momenti nella sua giovinezza, Damonti ha deciso di mettere nero su bianco dettagli e aneddoti, bussando alle porte di norcini e anziani di Lonato del Garda e dintorni per raccogliere testimonianze e ricette su come, una volta, si “faceva su il maiale”.  Tutti partecipavano al “rituale” del maiale, dagli adulti agli anziani più esperti, alle donne, persino i più piccini avevano qualche mansione da compiere, ricorda l’autore. Ma non si è mai trattato di un’uccisione barbara, priva di pietà per un animale che, allevato per un anno dalle famiglie, curato e nutrito ogni giorno, entrava in qualche modo a fare parte della sfera degli affetti.

    Cosa accadeva dopo l’uccisione del maiale?

    Dopo l’uccisione del maiale, il norcino, affiancato dai collaboratori, si dedicava alla pulitura e alla preparazione dei vari “tagli” per gli insaccati. Alle donne si consegnava una palla di impasto del salame – per i bresciani l’empiöm, per i veronesi il tastsàl – che serviva per cucinare il gradito risotto per la cena.

    Attorno alla tavola si radunavano anche i parenti, gli amici e i vicini di casa. Fino a tarda notte, si faceva festa insieme, con poco tutti erano felici. I piatti erano poveri, molto semplici, ma erano i più attesi dell’anno, perché tipici di quell’occasione. La notte serviva poi per far raffreddare la carne e la giornata successiva era dedicata a fare i salami. Ma, attenzione, la carne fresca del maiale si mangiava solo il giorno della macellazione.

    Del maiale non si butta via niente

    Del maiale non si butta via niente, vale oggi come un tempo. Selezionati i vari tagli, si riutilizzavano persino le zampe, le orecchie e alcune parti della testa. Con il sangue si preparava una torta salata o dolce. Con il grasso situato intorno alle parti intime del maschio si lucidavano gli zoccoli per renderli impermeabili all’acqua e alla neve, e con il grasso a pezzi le nonne facevano il sapone. Nei tempi in cui la povertà e la semplicità aguzzavano l’ingegno, e tutto era utile. Diversamente da oggi, un tempo c’erano pochi insaccati tipici: il salame, la coppa, la pancetta, l’osso dello stomaco, il cotechino e il guanciale.

    Il salame si preparava con la spalla, la polpa, il filetto, la lonza, il grasso della gola e i ritagli magri della coppa. La carne veniva tagliata, macinata e mescolata con sale, pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e salnitro; poi si aggiungeva una bagna di vino rosso precedentemente messo a macerare con l’aglio (poi tolto dal liquido) e si mescolava il tutto. Ogni norcino aveva precise quantità di sale e di spezie per fare il salame e gli altri insaccati, in base ai gusti delle varie famiglie per cui lavorava.

    La coppa è la parte di carne che ricopre le vertebre del collo, infatti, è chiamata capocollo o coppino del maiale. Nella bagna con le spezie (sale, pepe, cannella e noce moscata) si metteva la carne a insaporire per una giornata. Di tanto in tanto andava girata, rivoltata e pressata con le mani. Successivamente si metteva la coppa nel budello, la si legava e forava. Quindi si faceva asciugare davanti al fuoco per un paio di giorni, prima della stagionatura.

    Il cotechino deve il suo nome alla cotenna. È composto da carne rossa nervosa, dal grasso duro e cotenne in ugual percentuale; il tutto macinato, salato con le stesse spezie usate per preparare il salame, amalgamato, insaccato e forato.  La pancetta deriva dal ventre del maiale ed è uno dei tagli più grassi.

    Altra specialità era l’osso dello stomaco, oggi prodotto Deco di Lonato del Garda. Si otteneva mettendo nella vescica del maiale l’impasto dello stesso, più alcuni pezzi di ossa dello sterno. Per tradizione, poiché il budello si manteneva più a lungo perché più grasso, l’osso dello stomaco si poteva mangiare cotto, anche fino al periodo della vendemmia.

    Il mestiere del norcino oggi

    Oggi il mestiere del norcino è cambiato, ma non è scomparso. Nel dopoguerra la lavorazione locale delle carni salate e degli insaccati ha assunto una connotazione semindustriale, si è trasformata ed è cresciuta fino ad oggi. Ora la figura del norcino è rappresentata da numerose aziende dislocate su tutto il territorio e, dove possibile, c’è ancora la figura del norcino locale. In provincia di Brescia esiste l’Associazione Norcini Bresciani con sede a Rovato, che si occupa di formare i futuri norcini affiancandoli ad “esperti del mestiere”, per tramandare l’arte della norcineria bresciana e lombarda.

    Dentro una fetta di salame non c’è solo una professione, non c’è solo quel che resta dell’animale, ma ci sono il territorio e la sua storia, la tradizione, la tipicità, la trasparenza e la tracciabilità. Ogni paese conserva il proprio metodo di fare i salumi e ogni maestro norcino ha i suoi segreti. Non esiste il migliore insaccato, ma esiste la diversità, che è il bello – e pure il buono! – delle tipicità locali, che meritano di essere riscoperte.

    Se volete assaggiare gustose specialità a base di carne di maiale vi ricordiamo la rassegna gastronomica di Lonato del Garda Töt Porsèl durante la quale sono proposti menù a tema a prezzo convenzionato.

    Francesca Gardenato


    Rimani aggiornato su Eventi e Manifestazioni
    .. tutte le settimane direttamente sul tuo telefono


    CLICCA QUI!

     


      Con il Servizio News Week di Brescia a Tavola riceverai settimanalmente informazioni sugli eventi e manifestazioni enogastronomiche in programma nella provincia di Brescia. Ti arriveranno su WhatsApp, E-mail o su entrambi i canali. Iscriviti ora! Il servizio è gratuito per 2 mesi.



      (*) In omaggio, al momento della sottoscrizione annuale del servizio, la BresciaatavolaCARD per ottenere sconti nei ristoranti e produttori food&wine della provincia di Brescia
      Accetto la privacy ai sensi e per gli effetti del regolamento UE 2016/679 GDPR*


      Brescia a Tavola | Associazione Brescia a Tavola
      License Creative Commons CC
      P. Iva: 04489920985