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    Un viaggio alla scoperta dei nomi dei piatti a cura di Marino Marini

    Filetto alla Wellington
    Filetto alla Wellington

     

    Spesso nei nomi di alcuni piatti troviamo termini che a noi contemporanei non dicono niente, in realtà, nella storia della cucina, hanno un senso compiuto e un significato ben preciso.

    Dedicare un piatto o una preparazione a qualcuno è stato per molto tempo un vezzo molto diffuso.
    Nominare un piatto “alla moda di, o alla maniera di” si usa forse più oggi che ieri: Triglie alla livornese o Gnocchi alla parigina, indicano preparazioni precise, tecniche ormai acquisite, chi non lo capisce significa che deve studiare ancora.

    Abbiamo già affrontato il tema del menu, di come si scrive e si presenta al cliente e non ci ripeteremo qui.  A complemento di quanto scritto, vorremmo invece far notare che, specialmente nei menu francesi, ancora oggi, sono citati modi e mode di qualche secolo addietro e ci divertiremo a spiegarlo.

    Le località

    Facciamo qualche esempio: Argenteuil, Bercy, Bresse, Périgord, sono località note per le loro produzioni di, rispettivamente: asparagi, vini, pollame e tartufi (anche se Bresse stava anche per Brescia). Blanquette è invece un’uva bianca della Linguadoca che dà il nome a preparazioni, di carne, vitello, agnello, in salsa bianca. Anche Chantilly è una borgata e castello francese, del principe di Condé, dove trovò la morte, per suicidio, il grande Vatel nel 1671 al quale è attribuita la creazione dell’omonima salsa: si tratta di una serie di errori, per noi la “chantilly” è un mix di panna montata e crema pasticcera ma il suo nome vero dovrebbe essere “salsa diplomatica o chantilly all’italiana”. La vera chantilly è una mélange di albumi montati con zucchero a velo e profumata alla vaniglia, questa preparazione risale al XV secolo.

    I personaggi

    Poi ci sono le “dedicatorie” piatti o preparazioni dovuti o intitolati a personaggi, nobili o artisti in generale.
    Ne citeremo qualcuna tra le più note, andando in ordine alfabetico per non far torto a nessuno:
    Béchamel è una salsa che un nobile francese Louis de Béchamel, per far bella figura con il re Luigi XIV, si attribuì senza averne il merito. Da questa salsa deriverebbe la Mornay, nata nel ristorante parigino Grand Véfour e dedicata ai marchesi di Mornay;.

    Al nostro compositore Bellini è intitolato un gelato,  mentre il famoso omonimo cocktail fu dedicato da Giuseppe Cipriani dell’Harry’s Bar di Venezia al pittore (anch’esso Bellini) detto il Giambellino, a Cipriani si deve attribuire anche l’invenzione del Carpaccio dedicato a un altro pittore, Vittore Carpaccio,
    A Brillat-Savarin, il famoso gastronomo sono dedicati numerosi piatti, ma la seconda parte del cognome (Savarin) sta a indicare uno stampo rotondo e scanalato a forma di anello.
    A Cavour sono dedicate numerose preparazioni diverse, anche se pensando a lui ci torna in mente la Finanziera, un piatto particolare, che amava gustare al Ristorante Cambio di Torino.

    A Chateaubriand, scrittore francese, è dedicata la ricetta che porta il suo nome, un taglio ricavato dalla testa del filetto tanto da ottenere una doppia bistecca.
    Cordon Bleu è una onorificenza francese divenuta prima, una cotoletta farcita di prosciutto cotto e formaggio filante, all’inizio di filetto poi di pollo e infine di qualsiasi altra carne, per diventare da ultimo una famosa scuola francese e sinonimo di buongustaio. Da notare che si tratta di una ricetta recente: è del secolo scorso e ha origine negli USA.

    Frangipane, è il nome di una crema e di una farcitura a base di mandorle, l’origine è incerta, ma sono tutti concordi che derivi dal cognome italiano Frangipani. Nellie Melba, Sarah Bernhardt, Adelina Patti e Adelina Ristori, sono tutti nomi di personaggi dello spettacolo a cui è dedicato un piatto. La prima è una famosa cantante alla quale Escoffier dedica un famoso dessert, la seconda una famosa attrice di teatro alla quale hanno dedicato molte torte, le due Adeline, anch’esse attrici di teatro hanno in comune l’attribuzione di tanti piatti a base di riso.

    L’origine della Mayonnaise, come la chiamano i francesi, è contesa tra Francia e Spagna senza essere ancora giunti a nessuna attribuzione certa: qualcuno sostiene che derivi dalla aioli, una salsa provenzale alla quale sia stato eliminato l’aglio.
    Parmentier è un agronomo e nutrizionista francese a cui si attribuisce la diffusione della patata in Europa, di conseguenza i piatti a lui dedicati sono a base di questo tubero. Robespierre, avvocato e “incorruttibile” rivoluzionario francese, era animato da una passione politica tanto eccitante da dedicargli preparazioni piccanti al peperoncino.

    Rossini, il nostro compositore pesarese, ghiotto di tartufi (di Acqualagna) e foie gras, tanto da volerli mettere ovunque, spesso costringeva i cuochi a modificare i piatti secondo il suo genio gastronomico. Quando uno chef si permise di rifiutare, il compositore infuriato disse: “Alors, tournez le dos!” (andatevene). Qualche tempo dopo lo chef francese Moisson, da un cuore del filetto, trasse il tournedos che conosciamo oggi con il foie gras e il tartufo, naturalmente. Lui genio della musica ma anche amico di Carême, trascriveva anche le ricette ma soleva affermare:
    “Non conosco un’occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”.

    Sandwich, il lord, forte giocatore di carte, per non perdere tempo si faceva confezionare dei panini così da continuare la sua estenuante attività senza interruzioni. Questi panini, che già avevano il loro nome, presero il nome del lord e ci volle d’Annunzio, nel 1926 a Torino, per togliere di mezzo quel nome inglese e chiamarlo, italianamente, tramezzino.

    Stroganoff (o Stroganov) era un conte russo al quale il cuoco pensò di dedicare una fricassea di manzo, o di filetto, condita con la salsa smetana,  panna acida all’uso russo, secondo altri fu un medico a curare i pazienti con questa ricetta.

    Il duca di Wellington, colui che sconfisse Napoleone a Waterloo, oggi è più conosciuto per il famoso filetto alla Wellington che tutti abbiamo in mente. In verità di questo piatto non si conosce la vera origine, tanto che nel manuale di Borgarello (1904) del filetto non si fa cenno. Forse ha ragione quella cuoca inglese che lo vuole, non dedicato al duca, ma ideato a Wellington, capitale della Nuova Zelanda negli anni ’60 del secolo scorso.

    Le metodologie di cucina

    C’è, infine, una terza categoria molto vasta: i nomi che si riferiscono a preparazioni o metodologie di cucina.

    Blanc Manger, il Borgarello ci invita a non chiamarlo biancomangiare, chissà perché. Il nome originale è blammangeri, già conosciuto fin dal Medioevo fu portato in Sicilia dagli arabi e poi diffuso in Spagna, in Sardegna e nel resto d’Europa. Principalmente, si tratta un dolce al cucchiaio con il latte di mandorle, una ricetta tradizionale siciliana, che con il tempo si trasforma in un budino a base di carni bianche o pesce.

    Brunoise, Mirepoix, Julienne, Concassé, Chiffonade: sono tutti termini di cucina con una spiegazione precisa.
    La brunoise è un taglio di verdure o frutta a dadini da 1 a 3 mm mentre la mirepoix è un po’ più grande della precedente fino a 5 mm. Per ottenere questi tagli si parte dalla julienne, cioè un taglio a bastoncino di varie verdure e poi, perpendicolarmente si ottengono i dadini. La concassé è un taglio riservato ai pomodori pelati dello spessore di 5 mm. La chiffonade, ben conosciuta da noi bresciani, è il taglio sottile dei ridicì, quello che usava la nonna.
    Civet, Salmì e Ragôut, si tratta di cotture in umido: la prima riservata alla selvaggina da pelo (lepre, camoscio, cinghiale) dove il sangue dell’animale funge da addensante; la seconda è riservata alla selvaggina da penna (fagiano, anitra, pernice) anche se in Lombardia si confondono i due termini. Rer ragôut (scritto alla francese) si intende uno spezzatino cotto in casseruola e con quella servito in tavola.

    Consommé, Court-bouillon, Fumet, ne abbiamo parlato nel capitolo dedicato ai brodi: il primo è un brodo ristretto, il secondo è un liquido aromatico, il terzo è un brodo di pesce più o meno ristretto.
    Éclairs e Profiteroles le due preparazioni hanno alla base la pasta da bignè o pâte-à-chou: il primo è di forma lunga a bastoncino, il secondo è tondo. Con la stessa pasta si prepara il Paris Brest di forma grande e circolare.
    Épigramme, gli epigrammi sono dei brevi componimenti dedicatori (vedi Marziale), per un fraintendimento (leggi ignoranza), il cuoco Michelet alla richiesta della padrona di preparargli degli epigrammi così come si servono in altre case nobiliari, s’inventò una costoletta d’agnello doppia e impanata.
    Faisandé, il significato è carne frollata, come si usava un tempo per i fagiani. Maître d’Hotel, pare che questo dirigente impeccabile della sala non facesse altro che insaporire con burro, alla maître d’hotel appunto, ogni cosa gli capitasse per le mani.
    Pré-salé, si tratta di agnelli allevati in riva al mare (tra la Bretagna e la Normandia) su quei prati salati che donano alle carni sapori pregiati. Quenelles, c’è chi le chiama semplicemente polpette, in realtà il termine deriva dal tedesco knödel, che in italiano farebbe o canederli o gnocchi. La composizione delle quenelle è di solito morbida e ha sempre fatto parte delle guarnizioni più che di piatto a sé stante.
    Salamandre, ecco non è un animale è uno strumento, anzi un ferro arroventato per decorare le frittate poi diventato un’attrezzatura per tenere in caldo i piatti del servizio.
    Surtout, diamo la parola a Eugenio Medagliani:
    Il surtout diviene verso la fine del XVIII secolo il pezzo più importante presente sulle tavole più lussuose, e non solamente come oggetto utile per la presentazione della confetteria, ma anche come machine à surtout (così l’indicherà il famoso cuoco Massialot), cioè il contenitore e il sostegno di tutti quegli oggetti che non debbono mai essere tolti da tavola ad ogni cambiamento dei piatti, come i già citati spargipepe, salini, contenitori di senape, vasetti per spezie e le ampolle per olio e aceto”.

    Quindi ci stava sopra tutto da qui il francesismo napoletano di sartù di riso una preparazione che sta sopra tutte le altre. Ci resta un’ultima curiosità: le Patate Anna, chi era questa Anna da meritarsi una così sofisticata preparazione? Pare fosse una mondana. Buon appetito!

    Marino Marini


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