La festa in loro onore è appena trascorsa, ma quanti di voi conoscono la loro storia? Sto parlando dei santi patroni di Brescia Faustino e Giovita.
La vicenda del loro martirio è infatti alquanto misteriosa e la loro vita è un continuo intrecciarsi tra storia e leggenda. Entrambi figli di una nobile famiglia pagana di Brescia presto intrapresero la carriera militare, divenendo cavalieri.
Convertitisi al Cristianesimo grazie a S. Apollonio Vescovo furono accolti nella comunità dei primi cristiani bresciani. I due fratelli, la cui vita seguirà un corso analogo, si impegnarono a fondo nell’evangelizzazione, tanto che, per l’incisività e l’efficacia della loro predicazione, Faustino venne nominato presbitero e Giovita diacono.
Proprio a causa della loro predicazione, durante il periodo della terza persecuzione voluta da Traiano, venne ordinata la loro persecuzione con il pretesto di mantenere l’ordine pubblico. Alla morte di Traiano, il nuovo imperatore Adriano ordinò di procedere alla persecuzione dei due futuri santi che furono incarcerati per aver rifiutato di sacrificare agli dei.
Si narra che lo stesso imperatore, di ritorno dalla campagna militare delle Gallie, si fermò a Brescia, chiedendo ai due giovani di adorare il dio Sole, ma loro rifiutarono, anzi, colpirono la statua del dio pagano. Fu allora che l’imperatore ordinò che fossero dati in pasto alle belve del circo. Vennero rinchiusi in una gabbia con le tigri ma le fiere rimasero mansuete, accovacciandosi ai loro piedi.
I giovani vennero scorticati vivi e messi al rogo ma nelle Cronache dei Martirii si racconta che nemmeno il fuoco riuscì a sfiorare le loro vesti.
Imprigionati nelle carceri milanesi, subirono numerose torture e, trasferiti a Roma, furono di nuovo dati in pasto alle fiere del Colosseo, uscendone nuovamente indenni. Vennero poi imbarcati e mandati a Napoli e si narra che, grazie ad una loro intercessione, durante il viaggio una tempesta si placò. Nonostante questo le torture continuarono. Si decise di spingerli nel mare su una barchetta che tornò a riva, secondo la leggenda riportata in salvo dagli angeli. Condannati a morte, vennero infine decapitati a Brescia poco fuori di Porta Matolfa.
La loro vita straordinaria viene giustamente ricordata da un cippo marmoreo posto alle pendici del Castello di Brescia.
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